Il Borgo di Castelsardo

La risacca racconta la storia di Castelsardo, il continuo infrangersi delle onde sulle rocce nude della scogliera, fin da giorni che non si possono più contare. Le acque color smeraldo hanno fatto innamorare il castello, che dall’alto non smette mai di guardarle. Si sussurra di questo antico amore lungo i carrugi, le stradine più antiche di Castelsardo. Hanno il volto consunto, le pareti rugose di chi non ha tempo. Somigliano alle mani sapienti delle donne che nelle giornate di bel tempo si siedono sul lastricato ad intrecciare rami d’ulivo e giunchi per creare manufatti unici.

Come un magnete la fortezza ha attirato intorno a sé nuovi abitanti e dimore modeste, antiche come le mura che le proteggono. Per queste strade si respira il profumo del Mediterraneo, l’odore pungente della macchia che si arrampica su per gli scogli, entra nelle case, va per le strade.

Questo profumo, questo spettacolo, sono gli ingredienti della pozione d’amore di Castelsardo, borgo magico poggiato su uno specchio d’acqua.

Castelsardo vista
castelsardo panorama
Castelsardo Roccia dell'Elefante
Castelsardo sardinia
Castelsardo veduta porto
Castelsardo veduta
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La storia

Ancora oggi è impossibile datare con precisione la fondazione di Castelsardo ma sappiamo che il suo nome compare per la prima volta nel 1272 e dieci anni dopo, sui documenti, la città è già sotto la guida della famiglia Doria.

I Doria sono una famiglia di mercanti che in circa mezzo secolo è riuscita a raggiungere vette sociali importanti, diventando proprietari terrieri e poi signori, in grado di esercitare una certa influenza. I primi ad arrivare in Sardegna furono Ansaldo e Simone Doria, mercanti che giunsero da Genova tra il 1154 e il 1164. In pochi anni riuscirono a diventare finanziatori dei giudici di Torres e Arborea e quando nel 1259 Adelasia di Torres morì senza lasciare eredi, tra le famiglie signorili iniziò una dura lotta per la contesa dei territori. Nasce da qui l’esigenza di costruire castelli e fortezze che servivano come scopo difensivo ma anche come dimostrazione di potere e supremazia.

Venne eretto un castello e fortificato il borgo che la famiglia Doria chiamò Castelgenovese.

Il castello Doria diventò ben presto un punto strategico di grande importanza, perché in grado di controllare i traffici commerciali che si svolgevano nel Golfo dell’Asinara.

Il ‘Trecento è il secolo delle contese con gli Aragonesi. Ad avviarle fu Brancaleone III Doria che conquistò il titolo di ‘dominus’ e rivendicò con fermezza i diritti sui suoi possedimenti. La sua politica venne portata avanti dal figlio Nicolò ma valse a poco, il 2 ottobre del 1448 Castelgenovese cambia il suo nome in Castelaragonese, segnando di fatto il passaggio di potere alla casata catalana.

Con gli Aragonesi il borgo divenne inespugnabile, naturalmente protetto da un lato dal promontorio roccioso e dall’altro rafforzato nella sua struttura difensiva. Tutte le città fortificate sarde tra il ‘Cinquecento e il ‘Seicento si dotano di bastioni e torri difensive per far fronte alle minacce francesi e alle incursioni di Saraceni e Barbari.

Nonostante questo per Castelsardo i secoli a seguire furono contraddistinti da pace e tranquillità. Nel 1708 il borgo passò nelle mani degli austriaci ma pochi anni dopo, nel 1717, iniziò un duro assedio spagnolo per la sua riconquista. A nulla valsero le nuove costruzioni difensive, proclamata la resa, gli spagnoli riuscirono ad entrare nuovamente in città. In questi anni il castello restaurato di nuovo e gli avamposti di difesa furono rafforzati, nel frattempo assunse il potere Carlo Emanuele III di Savoia che decise di cambiare il nome in Castelsardo.

Con i Savoia Castelsardo diventa un borgo di commercianti e agricoltori ma non sono anni tranquilli. Iniziano aspre contese per i territori, inizialmente protagonisti della vicenda sono agricoltori e pastori ma ben presto entrano nella contesa anche genti forestiere. Vengono quindi introdotte delle imposte con lo scopo di regolarizzare l’utilizzo dei suoli e garantire maggiori entrate alla municipalità, purtroppo però ben presto chi arriva da fuori capisce che basta poco per eludere i pagamenti. Conseguenza di questo è l’appropriazione indiscriminata delle terre e di grandi quantitativi di grano che veniva soprattutto importato. Questo scatenò il malcontento del popolo e l’insofferenza dei forestieri.

Il ‘Settecento per Castelsardo è anche il secolo di uno sviluppo edilizio, con la costruzione d’importanti edifici pubblici.

Nell’Ottocento l’avidità dei proprietari terrieri e una chiusura della società frenano la crescita di Castelsardo che si arresta quasi del tutto quando in città arriva la peste.

Il borgo riesce pian piano a ripartire, anche grazie al sostegno di finanziatori esterni. In pochi anni Castelsardo diventa una città industriale e turistica, puntando al suo meraviglioso panorama che la rende uno dei borghi più belli della Sardegna.

Castello Doria

La fortezza di Castelsardo è stata voluta dalla famiglia Doria nel XII secolo, quando la famiglia genovese ottenne il possedimento di questo borgo sardo.

Il castello si trova sul punto più alto di un colle, l’accesso è garantito via terra dall’antico ingresso, su cui si notano ancora i cardini della porta della città. Un secondo ingresso era garantito via mare ed era particolarmente utile per garantirsi approvvigionamento da Genova, anche in caso di un possibile assedio.

Intorno al Castello Doria si sviluppò il borgo, le case vennero costruite con una struttura a scacchiera e si delinearono i ‘carruggi’, tradizionali vicoli che ancora oggi formano il centro storico.

La fortezza, racchiusa da una spessa cinta muraria, era salvaguardata da torrioni in seguito crollati.

Protetto dal muro di cinta oggi resta ancora il nucleo originale del castello, che in alcune delle sue sale ospita il Museo dell’Intreccio Mediterraneo. Visitando il museo è possibile accedere ai camminamenti dei soldati da cui si può godere di una vista panoramica.

Cattedrale di Sant’Antonio Abate

La Cattedrale di Sant’Antonio Abate è particolarmente suggestiva. La si nota fin da subito, immersa in un paesaggio da sogno circondata dalle aguzze rocce di un promontorio e protesa sul mare. Sapientemente mescolati, si ritrovano in questa chiesa elementi tipici del gotico catalano e dello stile classico rinascimentale. È particolarmente importante il campanile, che in origine era una torre di difesa con funzione di faro ed in seguito è stato adattato ed unito a questo luogo di culto.

Opere di prestigio sono custodite all’interno di un ambiente strutturato a croce latina. Lungo le pareti laterali si trovano le cappelle e i rispettivi altari in legno, tra le più belle abbiamo quella di Sant’Antonio Abate.

L’opera più importante di questa cattedrale è sicuramente il ciclo di affreschi realizzato da Andrea Lusso, il più importante tra i manieristi sardi.

Nell’abside si trova l’altare maggiore, sopra il quale si trova una tavola della Madonna in trono con Bambino, realizzata nel XV secolo da un artista conosciuto come maestro di Castelsardo.

La cantoria è decorata da due colonne romane ritrovate in mare, qui si trova anche l’organo del ‘Settecento, considerato tra i più belli dell’isola.

Sotto la cattedrale si trovano le cripte, di recente restaurate ed aperte al pubblico. Qui sono stati ritrovati resti di uomini e donne, probabilmente appartenenti all’aristocrazia locale, morti per pestilenze ed epidemie.

Le cripte sono diventate un museo dell’arte sacra, perché qui sono custoditi paramenti sacri ma anche statue di vario genere ed opere pittoriche. Sicuramente la più interessante e la più antica è la Madonna di Salagiau, realizzata nel ‘Trecento. Salagiau era un villaggio oggi scomparso e la Madonna è ancora venerata e portata in processione. Dopo il restauro recente sono riaffiorati alcuni importanti dettagli, come le decorazioni delle vesti e della collana in corallo rosso.

Museo dell’Intreccio Mediterraneo

Castelsardo è particolarmente rinomato per la sua produzione artigianale legata all’intreccio. L’arte dell’intreccio, realizzata con piante locali, interessava oggetti d’uso quotidiano ma soprattutto lavorativo, era ed è ben radicato nelle vite di Castelsardo e per questo meritava la giusta valorizzazione. Per questo da alcuni anni è stato istituito il Museo dell’Intreccio Mediterraneo che ha sede nel Castello Doria di Castelsardo.

Il percorso espositivo di questo museo si articola in nove sale, molte delle quali sono dedicate alla produzione tipica di Castelsardo.

Le quattro sale del pianterreno sono dedicati all’arte della panificazione, praticata attraverso l’uso di strumenti realizzati con l’intreccio. Si tratta per lo più di setacci e di canestri e corbule che avevano la duplice funzione di unità di misura e contenitore.

La quinta sala è dedicata a Manufatti provenienti da Marocco e Algeria ma anche da altre zone della Sardegna, come Trexenta, Campidano e Marmilla. La sesta sala mette in mostra gli oggetti più comuni nella vita quotidiana, realizzati per lo più con la palma nata.

Le ultime tre sale sono dedicate agli attrezzi lavorativi, settima e ottava sala sono concentrate sull’attività della pesca, di cui si possono vedere barche ma anche nasse intrecciate a mano e strumenti per la pesca di aragoste, comuni nel Golfo dell’Asinara. La nona e ultima sala è dedicata all’agricoltura e alla pastorizia.

Chiude il percorso la bellissima vista panoramica dalla terrazza del Castello, da cui si possono ripercorrere i camminamenti dei soldati.

Roccia Elefante – Domus de Janas

Il vento sferzante, la roccia battente, le intemperie testarde, a volte come mani sapienti modellano e creano. Per secoli gli agenti atmosferici hanno modellato una roccia dandole la forma di un gigantesco elefante seduto.

Il primo a rendersi conto dell’incredibile somiglianza è stato Edoardo Benetti, che nel 1914 in un suo scritto racconta di una roccia alta tre volte gli enormi mammut preistorici.

La Roccia dell’Elefante oggi è catalogata nella lista degli “oggetti fuori dal tempo” cioè quell’insieme di oggetti e monumenti naturali e artificiali talmente elaborati che se rapportati alla loro epoca di origine non sarebbero mai potuti esistere.

La Roccia Elefante in origine faceva parte del complesso del monte Castellazzu e solo in seguito, staccandosi, è rotolata fino alla Valdoria. La valle è particolarmente interessante dal punto di vista archeologico, dai resti fossili ritrovati è stato possibile ipotizzare che l’area fosse abitata e particolarmente attiva in tempi remoti, fin quando un cataclisma non ha spazzato via ogni forma di vita.

Testimoni di tempi così antichi sono ancora oggi due Domus de Janas, che si trovano proprio vicino alla Roccia Elefante.

Le Domus de Janas sono sepolcri scavati nella roccia, risalenti ad un periodo compreso tra il IV millennio a.C. e il III millennio a.C., periodo che precede la civiltà Nuragica.

Sulla base degli studi effettuati è possibile dire che le Domus dovevano avere per lo più una funzione religiosa e dovrebbero essere state scavate dai Sherdana o Sherden, genti che vengono comunemente identificato con l’antico popolo sardo. Le domus sono due, disposte una sopra l’altra ma scavate in due momenti storici differenti. La più antica è la domus superiore, composta da tre sale ma priva della copertura e del prospetto che probabilmente sono crollati. La seconda domus, trovandosi più in basso rispetto alla prima, si è conservata meglio. È composta da quattro vani, particolarmente importante è un elemento decorativo, la raffigurazione di un bovino scolpito nella roccia che consente di poter datare la costruzione intorno al III millennio a.C.

Rilevanti sono anche le raffigurazioni del toro. Il toro è un elemento comune nell’iconografia antica e classica, simbolo di forza e di virilità, nel corso del tempo ha assunto poi diversi significati.

L’arte dell’intreccio

L’intreccio è un’arte che passa dalle mani delle cestinaie che le muovono sinuose tra le fibre, le annodano e le incastrano fino a creare manufatti da mostrare ai turisti ma anche agli abitanti di Castelsardo.

L’arte dell’intreccio ha radici profonde ma difficili da tracciare, non c’è nulla di scritto e tutti i segreti di quest’antica arte passano dagli artigiani e dagli uomini e le donne che ancora oggi la praticano.

L’intreccio è una tecnica diffusa in tutta la Sardegna, grazie anche alla presenza di diverse materie prime che permettono una diversificazione delle fibre. Le più comuni sono la palma nana, il fieno marino e la rafia. La tecnica più diffusa è l’intreccio a spirale, realizzata con due differenti punti: punto attorcigliato e punto fisso.

L’intreccio è utilizzato per la realizzazione di manufatti utilizzati nella quotidianità e nelle attività lavorative.

L’intreccio è strettamente legato alla vita del mare e dei pescatori. Durante le stagioni invernali, quando il maltempo non permette la navigazione, i pescatori si dedicano alla realizzazione delle nasse, realizzate in giunco. Pianta che si raccoglie a giugno nei luoghi umidi e sabbiosi. Una volta raccolto viene essiccato per lunghi periodi e poi intrecciato, con l’utilizzo di verghe d’olivastro, mirto e canna. Per la cucitura si utilizzava il filo di canapa. Le nasse sono ancora oggi costruite a mano in tutta l’isola, le dimensioni variano in base al tipo di pescato.

Particolarmente importanti sono anche i fassonis, simili alle imbarcazioni utilizzate nell’antico Egitto. Questo tipo di barca viene oggi usata solo in due luoghi al mondo, in Perù, nel Lago Titicaca, e negli stagni di Santa Giusta e Cabras, in Sardegna.

L’intreccio è anche usato negli ambienti religiosi. Nella tradizione sarda i ramoscelli di palma e ulivo una volta benedetti allontanano il demonio. È usanza posizionare un oggetto di canna intrecciato in una stanza della casa e regalare oggetti intrecciati con fibra di palma e ulivo, per augurare pace e salute fisica.

Zuppa d’aragosta alla Castellanese

Le acque del Golfo dell’Asinara, su cui si affaccia Castelsardo, sono particolarmente rinomate per la presenza di aragoste. Il crostaceo più pregiato della cucina italiana è il protagonista principale di una delle ricette tipiche di Castelsardo.

Ingredienti:

  • 600 gr di aragosta;
  • 200 gr di pomodori;
  • 1 litro d’acqua;
  • Mezza cipolla tritata;
  • Un bicchierino di Vermentino di Sardegna;
  • Sale q.b.;
  • Pepe q.b.;
  • Un filo d’olio;
  • Prezzemolo q.b.;
  • Cognac o Brandy q.b.

Preparazione

Il primo passo da fare è quello di preparare l’aragosta, avendo cura di tagliare la coda in medaglioni e di eliminare la testa. Dalle interiori estrarre la salsa ed eventualmente le uova, mettendo tutto da parte.

Riscaldare l’acqua e tenerla al caldo immergendo i pezzi di carapace che serviranno in seguito. In una padella antiaderente versare un filo d’olio e soffriggere la cipolla tritata e il peperoncino, aggiungendo in seguito le interiora dell’aragosta e sfumando pian piano con del vino bianco.

Tagliare a pezzi i pomodori e unirli al soffritto. Quando i pomodori sono ben rosolati si può aggiungere l’aragosta, facendola cuocere per circa cinque minuti, poi aggiungere il Cognac o il Brandy ed alzare leggermente la fiamma per far flambare il tutto.

A questo punto si può versare poco alla volta l’acqua, aggiungendo un pizzico di sale. Quando la zuppa è pronta si può versare nei piatti e condire con foglie di basilico e o di prezzemolo tritato.

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