Il Borgo di Sant'Agata de' Goti

Bella di una bellezza autentica, rustica, eppure incredibilmente delicata e fragile proprio come il tufo, la roccia a cui Sant’Agata dei Goti deve la sua esistenza.

A strapiombo sulla verde vallata, le case col tempo si sono fuse con la rupe sui cui poggiano. Non c’è modo di distinguerle, non c’è modo di dividerle, sono entrambe fragili e insieme forti.

Sulle piazzette si affacciano il palazzo ducale e le chiese dai prospetti candidi e dai motivi barocchi, è questo l’animo nobile di Sant’Agata dei Goti ma cede in fretta il passo agli scorci più autentici, fatti di case con pietre a vista e muri secchi su cui si aggrappano i rampicanti.

Questo piccolo borgo arroccato è portatore di stupore e meraviglia, incanta ad ogni angolo, ad ogni vicolo, ad ogni dettaglio nascosto e ritrovato.

Sant'Agata De' Goti Panorama
Sant'Agata De' Goti Veduta dall'alto
Sant'Agata De' Goti Vista
Sant'Agata De' Goti
Sant'Agata_de'_Goti - Particolare del portale della chiesa di San Menna
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Sant'Agata De' Goti
Sant'Agata_de'_Goti - Particolare del portale della chiesa di San Menna
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La storia

Il passato di Sant’Agata dei Goti è un lungo corridoio nella storia più antica.

Le sue origini iniziano alcuni secoli prima della nascita di Cristo e l’ipotesi più accreditata racconta che questo borgo è sorto in corrispondenza dell’antica città sannitica di Saticula.

Questa città è stata più volte assediata e sottomessa, in particolare nel 315 a.C., durante la seconda guerra sannitica. Nel 313 a.C. è diventata colonia romana e da allora è rimasta fedele a Roma.

Nel VI secolo d.C., durante la Battaglia del Vesuvio, i Goti, sconfitti, chiesero ed ottennero di rimanere da sudditi dell’impero; una colonia si stabilì qui e da questa vicenda deriverebbe il nome del luogo, anche se un’altra teoria ne attribuisce l’origine alla famiglia guascona dei De Goth che ricevette Sant’Agata come feudo in concessione da Roberto D’Angiò nel 1313.

In seguito alla dominazione longobarda si avvia una lunga serie di passaggi di potere. Il borgo passa anche dalle mani delle famiglie feudatarie più importanti di Napoli, per ultimo la famiglia Carafa.

Diventa sede vescovile fin dal X secolo e nella sua storia vanta la guida del vescovo Felice Peretti, salito in seguito al soglio pontificio con il nome di Sisto V, e di Sant’Alfonso de’ Liguori.

Questo periodo coincide anche con la dominazione normanna, durante la quale è stata ampliata la struttura difensiva con la costruzione di una fortezza e sono stati commissionati il Duomo e altri edifici sacri.

Il fascino del borgo arroccato sulla roccia e la sua storia millenaria sono solo alcuni degli elementi che rendono Sant’Agata dei Goti un concentrato di suggestive bellezze, in grado di catturare l’attenzione di un numero sempre più alto di visitatori, che la scelgono come metà di viaggio.

Il Palazzo Ducale

Rimbombano ancora oggi di sala in sala gli echi del glorioso passato del castello ducale di Sant’Agata dei Goti.

In origine in questo luogo vi era solo una torre longobarda, unico baluardo difensivo dell’intero abitato. Con l’arrivo dei Normanni, intorno all’anno Mille, questo primitivo punto di difesa è stato trasformato in una fortezza, costruita con la pietra locale: il tufo.

L’arco a tutto sesto che segna l’ingresso nel palazzo guarda allo stesso slargo su cui si trova la facciata della chiesa di San Menna, costruita negli stessi anni.

Nel corso dei secoli questa dimora è stata più volte rimaneggiata, per andare incontro ai gusti dei proprietari e alle mode dell’epoca. Si intravedono ancora le decorazioni pittoriche risalenti al ‘Quattrocento ed al ‘Cinquecento, che lasciano trasparire l’intenzione di ingentilire il carattere rude della fortezza e trasformare l’edificio in una dimora gentilizia. Cinquecentesca è anche la torre circolare, che in passato è stata usata come carcere ed è l’unico tra i torrioni ad essere rimasto in piedi.

Nel 1696 il castello è stato acquistato dalla famiglia napoletana Carafa della Stadera di Maddaloni e la proprietà è toccata in sorte a Caterina Carafa e al suo fresco sposo, il conte Colubrano.

A quel tempo il palazzo era stato già rimaneggiato ma la giovane coppia apportò comunque delle modifiche. Rientrano in questo contesto i dipinti che raffigurano alcune scene di Diana e Atteone e che si trovano nella sala del primo piano. Sono stati realizzati agli inizi del ‘Settecento e sono opera dell’artista Tommaso Giaquinto.

Si entra nel palazzo da un arco a tutto sesto, che non nasconde la pratica diffusa in passato di riutilizzare elementi di altri edifici. L’ingresso conduce al primo cortile e all’edificio. Nei piani superiori è rimasta traccia della costruzione risalente all’alto Medioevo.

Il Duomo

Il Duomo è dedicato alla Madonna Assunta. Probabilmente la costruzione è stata voluta dal vescovo Adelardo sul finire del Novecento, ma un’ipotesi ancora controversa si sta facendo largo negli ultimi anni: si pensa, infatti, che questo luogo di culto in realtà sia il tempio pagano dedicato alla dea Tellus, in seguito convertito al culto cristiano. Tutto ancora da verificare.

Nel corso della sua storia questo edificio ha subito diversi danni a causa dei terremoti. Il campanile è stato più volte ricostruito, così come altri elementi, pertanto non c’è traccia della struttura originale, soprattutto sulla facciata.

Sul portico in alto si trova la statua dell’Assunta e ai lati quella di Sant’Agata e Santo Stefano. Si trova anche lo stemma di papa Sisto V, che è stato vescovo in questa diocesi.

L’interno è a croce latina, con due serie di pilastri che dividono l’ambiente in tre navate. Lungo la navata centrale e in parte del presbiterio si trovava un pavimento a mosaico, di cui oggi restano solo alcuni frammenti, che sono stati datati intorno al XIII secolo. Il più grande tra i frammenti sembra riprodurre l’universo accostato ai simboli del quattro Evangelisti.

Particolarmente interessante per le raffigurazioni di volti umani e animali mostruosi è anche il coro ligneo intagliato, opera del mastro Alessandro de Rosa, che lo ha realizzato tra il 1650 e il 1653.

Il coro era chiuso da un altare maggiore che è stato poi smembrato.

Sotto la chiesa si trova la cripta, con tre absidi e volte a crociera. Le decorazioni sono composite, in particolare per quanto riguarda le colonne e i capitelli. Gli affreschi presenti in questo luogo risalgono al XIV secolo, richiamano un gusto umbro-senese.

Chiesa dell’Annunziata

La chiesa dedicata all’Annunziata s’incontra appena entrati a Sant’Agata dei Goti. Oggi si affaccia su uno slargo che porta il suo nome ma in origine era una chiesa fuori dal borgo, elevata a parrocchia nel 1764 da Sant Alfonso de’ Liguori, per andare incontro alle esigenze dei fedeli che vivevano nelle zone rurali.

Questo luogo di culto è una commistione di elementi decorativi cinquecenteschi e barocchi. Nel 1563 è stato realizzato il portale d’ingresso, opera di maestranze di scuola napoletana che si sono ispirate all’arte classica, come si può vedere dall’impostazione con timpano e lunetta sottostante. Nella lunetta è stata scolpita la scena dell’Annunciazione a Maria.

L’interno della chiesa è a navata unica, con cappelle in stile barocco che si trovano ai lati.

In passato la cappella aveva anche una funzione sociale, attraverso le rendite diocesane si provvedeva alla costituzione della dote per le figlie delle famiglie meno abbienti e alle elemosina per le persone che vivevano in ristrettezze economiche.

Grazie ai recenti lavori di restauro sono stati riportati alla luce alcuni affreschi, risalenti ad epoche diverse. Il più importante tra questi è stato realizzato nel XV secolo e rappresenta il Giudizio Universale. Quest’opera pittorica s’inserisce in un ciclo in cui sono stati rappresentati anche la Resurrezione dei morti, l’Inferno e il Paradiso. Questi affreschi sono stati realizzati nella controfacciata, perché dovevano essere l’ultimo ricordo che rimaneva ai fedeli e dovevano avere anche il compito di incidere sulle scelte fondamentali della loro vita, per indirizzarli verso la gloria eterna.

Chiesa e Convento di San Francesco

La chiesa e il convento di San Francesco oggi sono ricchi di decori barocchi e intrisi di gusto settecentesco, ma la loro origine è molto più antica. Questo complesso risale con molta probabilità alla seconda metà del Milleduecento perché rientrava nelle proprietà dei Frati Minori Conventuali, che giunsero a Sant’Agata dei Goti nel 1267.

Barocca è anche la facciata a cui è accostato un campanile con orologio, sormontato da una cuspide con maioliche, restaurate di recente.

La chiesa è particolarmente ricca di tele ed affreschi. Al centro del soffitto in legno si trova un dipinto di San Francesco in estasi risalente al 1650. Risale al 1702 la pala dell’Annunciazione, opera di Tommaso Giaquinto e dello stesso autore sono gli affreschi, realizzati nel 1703, che si trovano in alto nell’abside e raffigurano alcune scene bibliche; il dipinto che si trova al di sotto rappresenta San Francesco che riceve le stimmate.

È particolarmente interessante il chiostro, a cui si accede da un portale settecentesco. Alcuni piccoli dettagli come la bocca della cisterna e le finestre cieche che si trovano lungo i lati, rivelano l’impronta gotica delle origini.

In seguito alle leggi napoleoniche il convento di San Francesco venne soppresso e successivamente è stato acquistato dal comune. Oggi è un luogo dedicato a mostre ed eventi culturali.

Chiesa di San Menna

L’origine e la fortuna di questa chiesa è strettamente legata al conte Roberto il Normanno, che l’ha voluta realizzare come cappella del castello.

Edificata tra il 1102 e il 1107, è stata poi consacrata il 4 settembre del 1110 da papa Pasquale II che si trovava in zona per un viaggio d’affari.

Per molti aspetti questa chiesa richiama l’abbazia di Montecassino. L’impianto è a basilica con tre navate, divise da due serie di archi a tutto sesto.

Un richiamo all’abbazia laziale si trova anche nel mosaico dell’aula liturgica, simile a quello che si trovava in passato a Montecassino.

I restauri degli anni Cinquanta del ‘Novecento hanno riportato alla luce importanti pezzi storici di questo luogo di culto. In una serie di pilastri nel XVIII secolo è stato ritrovato un intero colonnato, sotto l’altare maggiore invece si trovava una lastra in pietra con incisa una croce greca circondata da tralci di vite, un disegno comune ad alcuni reperti paleocristiani risalenti al VI – VII secolo.

Si deve al conte Roberto anche la vicenda che riguarda le spoglie di San Messa. Il conte nel 1094 era desideroso di donare alla cattedrale di Caiazzo delle reliquie pregiate. Dopo aver ricevuto alcune indicazioni decise di recarsi a Vitulano, dove in una chiesetta semidistrutta ha ritrovato il corpo del santo e lo ha trasportato nella cattedrale.

In seguito ad alcuni contrasti con il vescovo, il conte decise di portare le reliquie nella cappella di Sant’Agata. Furono riposte in urna, accompagnate da una lapide marmorea. In seguito alle reliquie di San Mena furono aggiunte, ma separate, anche le reliquie di San Brizio, vescovo di Tours, e di San Socio. La lapide fu quindi posta nel mezzo del sarcofago, proprio per dividere le spoglie dei santi.

L’infiorata del Corpus Domini

Il sentimento religioso, la tradizione e l’amore per il proprio borgo sono una combinazione vincente. A Sant’Agata dei Goti l’unione di questi tre elementi si concretizza nell’infiorata del Corpus Domini.

La preparazione è lunga e minuziosa e unisce la comunità. Le strade per un giorno diventano di mille colori, i piedi fanno spazio a bellissime opere d’arte a carattere religioso.

La maestria è tale che sembra di essere davanti a dei quadri dipinti; per questo motivo, arrivano anche dai paesi più lontani per venire ad ammirare questa bellissima infiorata.

Sant’Alfonso Maria de’ Liguori

Alfonso Maria de’ Liguori è nato il 27 settembre del 1696, vicino Napoli da una famiglia di umili origini. Fino ai ventisette anni è stato un grande studioso di filosofia e diritto, ma ad un certo punto della sua vita decise di abbandonare la giurisprudenza per diventare un servo di Dio.

Nel 1726 è stato ordinato sacerdote e si è messo a servizio della popolazione più povera di Napoli. Ha lasciato la città solo quando ,durante un viaggio, è entrato in contatto con i pastori di Amalfi e ne ha recepito il grande disagio umano e spirituale.

Nel 1760 è stato nominato vescovo della diocesi di Sant’Agata dei Goti, che a quel tempo era un centro montano bisognoso di aiuto e sostegno.

Ha abbandonato la curia solo in seguito al peggioramento delle sue condizioni di salute. La cecità e l’artropatia deformante lo costrinsero a ritirarsi a Nocera de’ Pagani, dove venne assistito dall’amore dei suoi familiari fino alla fine della sua agonia terrena.

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Zuppa di farro

La tavola di Sant’Agata dei Goti è un richiamo continuo alla cultura locale e alla storia millenaria, legata all’antica civiltà dei sanniti. I sapori e i profumi raccontano di una tradizione contadina con cui gli abitanti hanno un legame viscerale.

Uno dei piatti tipici di questo borgo è la zuppa di farro, un piatto povero ma molto gustoso.

Ingredienti per quattro persone:

  • 200 gr di farro;
  • 200 gr di fagioli bianchi;
  • 200 gr di fagioli rossi;
  • 200gr di patate;
  • 200gr di carote;
  • Un gambo di sedano;
  • Olio extravergine d’oliva;
  • Cipolla q.b.;
  • Vino bianco q.b.;
  • passato di pomodoro q.b;
  • Crostini di pane;
  • Formaggio grattugiato q.b.

Prima di iniziare con la preparazione della zuppa è necessario mettere a bagno almeno per una notte i fagioli, se si scelgono quelli secchi, e tagliare gli ortaggi a dadini per facilitarne la cottura.

Il primo passo è fare un soffritto di olio e cipolla, quando questa sarà dorata si possono aggiungere i fagioli e il vino bianco.

Mescolare di tanto in tanto fin quando il vino non sarà completamente evaporato, aggiungere quindi patate, carote, sedano, passata di pomodoro e un pizzico di sale. Cuocere per due ore e poi aggiungere il farro, che necessita di una cottura di trenta minuti.

Appena la zuppa è pronta il consiglio è di versarla nel piatto aggiungendo una spolverata di formaggio grattugiato e accompagnandola con dei crostini.

Ideale per riscaldare le fredde serate d’inverno.

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